Voglio presentarvi qui la storia di un ragazzo bolognese che ho avuto il piacere di intervistare un po’ di tempo fa, sul finire del 2009. Dopo essersi laureato, Stefano decide di intraprendere una scelta importante della sua vita.
Il fatto di rimanere in Italia, dove le possibilità di trovare un lavoro adeguato alle proprie capacità sono scarse (se non inesistenti), lo avrebbe condannato molto probabilmente ad una vita priva di reali soddisfazioni, almeno in ambito lavorativo.
Oppure avrebbe dovuto aspettare chissà quanto per riuscire ad ottenere una posizione economica quantomeno decente per iniziare a vivere.
Cosi decide di abbandonare tutto e di trasferirsi in Svizzera, dove una grossa organizzazione internazionale, la IUCN, non vede l’ora di conoscere le potenzialità di un giovane brillante che ha la legittimissima voglia di cominciare ad essere indipendente e di mettere al servizio di chi meglio saprà accogliere le sue capacità.
Questa intervista può avere lo scopo di incrementare la consapevolezza dello stato in cui si trovano i giovani italiani dopo la laurea. Ma anche per dare forza ad ognuno di loro, raccontando storie di altri ragazzi che si trovano in situazioni analoghe.
http://www.digikomp.it/giovani-precari-lavoro-allestero.html
Il fatto di rimanere in Italia, dove le possibilità di trovare un lavoro adeguato alle proprie capacità sono scarse (se non inesistenti), lo avrebbe condannato molto probabilmente ad una vita priva di reali soddisfazioni, almeno in ambito lavorativo.
Oppure avrebbe dovuto aspettare chissà quanto per riuscire ad ottenere una posizione economica quantomeno decente per iniziare a vivere.
Cosi decide di abbandonare tutto e di trasferirsi in Svizzera, dove una grossa organizzazione internazionale, la IUCN, non vede l’ora di conoscere le potenzialità di un giovane brillante che ha la legittimissima voglia di cominciare ad essere indipendente e di mettere al servizio di chi meglio saprà accogliere le sue capacità.
Questa intervista può avere lo scopo di incrementare la consapevolezza dello stato in cui si trovano i giovani italiani dopo la laurea. Ma anche per dare forza ad ognuno di loro, raccontando storie di altri ragazzi che si trovano in situazioni analoghe.
- Da quanto tempo lavori per la IUCN e qual è la tua mansione specifica?Dunque, dal momento che iniziai nell’aprile del 2008, sono oggi poco più di 19 mesi che lavoro presso la sede mondiale di IUCN (l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura dall’acronimo inglese) sul lago di Ginevra. Per l’esattezza, lavoro nel Programma per l’Acqua inteso come l’insieme delle risorse idriche non marine e tutti gli ecosistemi ed attività umane ad esse associati. Le attività di IUCN sono infatti organizzate in modo da produrre risultati nel campo delle 5 tematiche principali a programma che sono biodiversità, cambiamenti climatici, energie sostenibili, riduzione della povertà ed economie verdi. Per questo motivo, tanto il segretariato in Svizzera quanto i vari uffici continentali e nazionali, si dividono in programmi tematici ed unità operative che trattano problematiche specifiche come ad esempio, specie in pericolo, aree protette, risorse marine, conservazione delle foreste, gestione di ecosistemi particolari quali isole e deserti, e appunto bacini fluviali. In particolare, la mia unità si occupa di promuovere soluzioni sostenibili per l’uso delle risorse idriche secondo un approccio per cui gli ecosistemi, quando mantenuti integri nelle loro funzioni, possano svolgere adeguatamente quei preziosi servizi per la società che sono, ad esempio, sostentare la produzione ittica ed agricola delle regioni rurali, purificare l’acqua ad uso potabile, o frenare l’effetto dannoso di alluvioni e siccità. Nello specifico delle mie mansioni, io ho il compito di coordinare a livello centrale alcune delle reti di informazione che consentono lo sviluppo e la diffusione dei concetti sopra esposti nonché di supportare per parte tecnica l’analisi e la sintesi delle esperienze che l’organizzazione matura sul campo attraverso progetti pilota di uso sostenibile dei bacini idrici. Questo ai fini della produzione di vari prodotti di comunicazione rivolti al grande pubblico, di linee guida e altro materiale tecnico ad uso professionale così come di reportistica mirata alle sedi di discussione dei relativi processi decisionali del settore che si manifestano durante appuntamenti istituzionali quali forum e convegni.
- Prima di trasferirti hai avuto altre esperienze lavorative in Italia? Come ci sei finito in Svizzera?Per rispondere a questa domanda, permettimi di riassumere la mia storia dal prinicipio, o quasi. Laureato con lode in Scienze Naturali presso l’Università di Bologna nel 2003, presto (o tardi?) mi rendo conto che, al di fuori dell’insegnamento, sono ben pochi gli sbocchi occupazionali in questo settore. Rinuncio quindi ad infilarmi negli ambiti estremamente nepotistici che la ricerca come dottorando avrebbe comportato. Rinuncio anche ad intraprendere un master in conservazione della natura che mi avrebbe, con ogni probabilità, messo in coda come addetto alla pianificazione faunistica. M’iscrivo bensì ad un corso di formazione per le certificazioni ambientali della durata di un anno. Ultimatolo, scelgo la via dell’amministrazione pubblica più per vocazione personale che per chiare opportunità. Difatti, lavoro a contratto per due periodi non consecutivi intermezzati da un inverno come “archivista” inscatolatore di faldoni. Se fossi rimasto alla Provincia di Bologna, oggi avrei la certezza di esser stato allontanato per i ben noti tagli alla spesa pubblica. La stessa sorte è infatti toccata a 4 dei giovani dipendententi privi di contratto a tempo indeterminato. Questo in un’unità organizzativa che comprendeva appena 8 membri di personale. Se avessi scelto il settore privato invece, sarei quasi certamente rimasto a lavorare per uno studio di consulenza ambientale, conducendo sopralluoghi per la conformità ambientale, sanitaria o di sicurezza del personale. Questo con tutte le difficoltà iniziali del caso alle quali sei costretto per massimizzare il numero di commesse e sopperire quinsi alla mensilità altamente variabile tipica del titolare di Partita IVA. Oggi, invece, ho maturato quasi 2 anni di esperienza lavorativa con la piu grande organizzazione non-governativa nel settore della conservazione della natura, sto dando uso a tutto ciò che ho imparato nel coros dei miei studi, percepisco uno stipendio in linea con gli standard svizzeri che è almeno 3 volte quello della media dei miei amici che ho lasciato a Bologna, ma sopratutto vivo nella serena condizione per cui non devo preoccuparmi di subire prevaricazioni o raggiri nel quotidiano. Tutto questo perché arrivò il bel giorno in cui mi convinsi che in Italia non c’era un futuro per me, che i sacrifici e le rinunce sarebbero stati col tempo molto maggiori, e questo anche grazie al Regno di Svezia che ha pagato per la mia istruzione di livello internazionale, val a dire un master in politiche e gestione dell’ambiente della durata di 1 anno e mezzo (pre-riforma secondo il ben noto processo di Bologna). Dopo 5 mesi di ricerche e colloqui (perché c’è da dire che la concorrenza non manca certo sul mercato del lavoro europeo e una contrazione fisiologica dell’offerta c’è comunque stata rispetto ad alcuni fa), sono infatti stato assunto in quella che è la mia attuale occupazione.
- Quali differenze, se le hai riscontrate, tra l’una e l’altra esperienza?Per descrivere quali differenze posso aver riscontrato tra le due esperienze, bisogna innanzitutto capire che il sistema-mercato del lavoro all’estero opera diversamente rispetto all’Italia. Intanto, si suppone che una laurea di 3 anni (il cosiddetto Bachelor secondo il sistema universitario anglosassone) dovrebbe consentire di trovare un lavoro equivalente a tale qualifica. Pena, non avrebbe ragione di esistere come titolo di studio a se stante. Dopodiché, i giovani di altri paesi solitamente trascorrono qualche anno accumulando esperienze lavorative prima di intraprendere un altro biennio di studi (il cosiddetto Master secondo il sistema universitario anglosassone). Ma questo accade solamente se se ambisce a posizioni più eminenti e remunerative nelle varie gerarchie professionali. Lo stesso vale per il Dottorato, il quale, in ambiti non prettamente accademici, viene mediamente perseguito anche dopo 15 anni di carriera. Da noi, il master è diventato un proseguimento quasi obbligato dopo il normale percorso universitario, senza per altro costituire alcuna garanzia di impiego futuro. Questo per quanto riguarda l’accesso al mercato del lavoro. Una volta accedutovi, le cose rimangono molto diverse dalla situazione italiana. Ma nient’altro che come dovrebbero essere in un sistema normale e meritocratico. Nel mio caso, ad esempio, dopo 18 mesi di contratto come Junior Professional Associate, una specie di “internship” retribuita o “entry position” nel linguaggio corporativo (lo sottolineo perché il lavoro di natura gratuita che in Italia si è diffuso sotto il nome di “stage” ed è diventato così comune per i nostri praticandanti viene di norma effettuato su base volontaria da studenti “undergraduate” che sono quindi ben lungi dal possedere diplomi e qualifiche pluriennali), il datore di lavoro si è ritrovato a dover risolvere la mia situazione contrattuale e a promuovermi a Project Officer che rappresenta il livello successivo nella piramide organizzativa di IUCN. Per legge infatti (in questo caso il diritto federale svizzero), si presume che dopo un certo periodo di tempo, il dipendente debba avanzare di carriera all’interno dell’organizzazione qualora si sia verificata una crescita e le risorse lo consentano. Ripeto che la concorrenza è forte e le ambizioni molteplici, perciò rimane del tutto vero che nessuno ti regala niente. Tuttavia, quando i meriti vengono dimostrati, è normale che le relative gratifiche ne conseguano. Francamente, la cosa che mi rattrista maggiormente è che la ricerca di un lavoro in Italia sia diventata quasi un mendicare, mentre all’estero le risorse umane vengono ancora viste come un patrimonio da ricercare attivamente.
- Sei un ragazzo giovane che lavora in un’organizzazione internazionale per la salvaguardia della natura e quindi della vita del nostro pianeta. Fortuna, passione, soddisfazione. Quanto questi fattori hanno giocato e giocano un ruolo fondamentale per te?Fortuna? Certo. Non mi vanto infatti di esser stato oltremodo lungimirante. Del senno di poi, ne son piene le fosse. Senza contare che, per quanto invidiabili possano presentarsi i titoli su di un curriculum vitae, le conoscenze e le relazioni personali contanto spesso più di tutto il resto. Nel mio caso, ad esempio, avere un’amica che già lavorava per IUCN ha senz’altro aiutato ad individuare l’offerta di lavoro in questione. Così come è risultato fondamentale avere incontrato colui che è diventato poi il mio capo in sede di alcune interviste condotte all’epoca della mia tesi di master. Ciò è servito a guadagnare quella dose di stima e di fiducia che un colloquio di lavoro tra perfetti sconosciuti non consente di certo. Nonostante la fortuna, comunque, credo che, anche se inconsciamente, le mie decisioni siano sempre state dettate dalla crescente consapevolezza che non avrei trovato pace nella sensazione di aver sprecato 6 anni di studi. Così, mano a mano, ho corretto la rotta della mia carriera. Passione dunque? Senz’altro. E caparbietà. Inoltre, l’esperienza all’estero mi ha consentito di acquisire una panoramica molto più ampia di quelle che sono le opportunità esistenti a questo mondo. Prima di sbarcare sui lidi in cui mi trovo adesso, non avevo un’idea precisa di tutte le possibilità occupazionali che la mia professione prevede. Purtroppo, gli enti attivi nella sfera dei miei interessi professionali, ovvero quelle istituzioni di natura pubblica o privata che effettuano ricerca e consulenza a livello politico ed amministrativo su tematiche ambientali, si contano sulle dita di una mano nella nostra realtà. Inutile ripetere, quindi, che questa rotta che ho intrapreso porta lontano dall’Italia. Forse quando un giorno avro’ raggiunto lo status di “senior” potrò e vorrò tornare in patria. Allora e solo allora, forse, non sarei esposto ai torti e i soprusi riservati ai giovani nel nostro paese. E questa sarebbe un’ulteriore soddisfazione, credo.
- E’ stato difficile stabilirsi in un altro paese? Sono più le cose che hai lasciato o quelle trovate?In realtà, una volta fatto il passo, non è poi così difficile ambientarsi in un altro paese europeo. In fondo, penso che al giorno d’oggi stabilirsi oltralpe sia un po’ come un tempo era emigrare al nord Italia per i nostri nonni. È solamente una questione di scala. In più, stare in Svizzera è piuttosto conveniente in quanto paese limitrofo dagli altissimi livelli di welfare e con un spiccata componente demografica italiana. Inoltre, a differenza di altre situazioni come Brussels su cui l’opinione dei residenti stanieri è generalmente critica, la zona di Ginevra presenta diverse amenità di tipo paesaggistico che contribuiscono ad allietare gli spostamenti e favorire le attività all’aperto. Se poi mi si chiede cosa mi manca del mio paese, premetto subito che sono affezionato alla sua cultura e al suo carattere. Sono le condizioni in cui versa il sistema-stato a cui sono avverso. Ci sono infatti aspetti di giovialità che non si riscontrano al di fuori dei paesi tipicamente mediterranei. Allo stesso tempo non mi definirei il tipico italiano per temperamento. Basti pensare che il mio paese di elezione in Europa andrebbe ricercato in Scandinavia, dove per altro ho studiato e tornerei volentieri a stabilirmi. Per cui non sono molte le cose che mi mancano al di là degli affetti degli amici e della famiglia. Non nel quotidiano almeno. Ci sono infatti altre cose che valuto più stimolanti. Come ad esempio confrontarsi costantemente con altre culture e stili di vita. Solo tra i colleghi dello stesso piano dell’ufficio dove lavoro, ci sono almeno 20 nazionalità diverse rappresentate. La varietà di prospettive e di pensiero che possiamo incontrare oggi è semplicemente troppo vasta e relativamente accessibile perché possa pensare di limitarmi ai confini nazionali. Allo stesso tempo, si è ormai raggiunta una certa uniformità di costumi, almeno nel mondo occidentale, per cui tra persone anche geograficamente molto distanti ci si diverte tutti allo stesso modo. Bologna è già abbastanza provinciale di suo, con tutti i pregi e i difetti che questo comporta. Ma non voglio generalizzare. Ogni situazione ne ha e le circostanze cambiano di continuo. Per questo motivo ho in mente un percorso itinerante per me stesso.
- L’ultima cosa di cui si sta occupando la IUCN è il Countdown 2010. Tra i primi paesi figura l’Italia per l’impegno a fermare la perdita di biodiversità. Spieghiamo in cosa consiste e come si realizza nel concreto. Inoltre, come viene vista l’Italia in termini di politica ambientale? Countdown 2010 è un’iniziativa legata alla Convenzione internazionale sulla diversità biologica che riunisce governi, la società civile, il settore privato e le amministrazioni locali in un azione concertata contro il problema delle estinzioni. Ciascun partner firmatario si impegna infatti a contribuire al rallentamento del tasso di perdita della biodiversità attraverso azioni che si differenziano a seconda degli impatti ambientali dei singoli e della sfera di influenza che possono ad avere, ad esempio, uno stabilimento industriale o un’attività estrattiva rispetto ad un ente di pianificazione territoriale come la Provincia. Gli obiettivi di riduzione del tasso di estinzioni propri dell’iniziativa Countdown 2010 coincidono temporalmente con la data della prossima conferenza delle parti della convenzione che si terrà in Giappone alla fine del prossimo anno. Questo è uno degli impegni principali sulla agenda politica globale di IUCN che consiste appunto nell’influenzare, incoraggiare ed assistere i vari paesi del mondo affinché questi salvaguardino la biodiversità assicurando così che l’uso delle risorse ambientali sia equo e sostenibile. Di più immediata risonanza sarà pure la conferenza sul clima delle Nazioni Unite che avrà luogo ad inizio dicembre a Copenhagen. Lì, IUCN sarà in prima linea per influenzare i negoziati e promuovere l’integrazione nel testo dell’eventuale trattato di due principi fondamentali: la riduzione dell’emissioni di anidride carbonica provenienti dalla deforestazione nei paesi in via di sviluppo e l’uso degli ecosistemi per l’adattamento ai cambiamenti climatici. In questo caso, l’Italia non brilla certo per iniziativa come invece altri grandi paesi europei che hanno investito in energie rinnovabili quali la Germania o che hanno voluto dirigere l’impegno ed il dialogo sui cambiamenti climatici come il Regno Unito. Tradizionalmente, infatti, l’Italia ha sempre inseguito gli altri paesi membri più influenti in materia di politiche ambientali innovative. Ciononostante, la Cooperazione Italiana allo Sviluppo del Ministro degli Affari Esteri figura tra quella decina di agenzie governative che hanno stipulato un accordo quadro per il finanziamento delle attività di base di IUCN e sponsorizza attivamente una serie di progetti focalizzati sulle aree desertiche del Medio Oriente e su di alcune comunità isolane. IUCN lavora infatti principalmente attraverso i finanziamenti destinati dai governi dei paesi più sviluppati alla cooperazione internazionale per mano delle varie agenzie multilaterali. Gli stessi progetti sul campo del Programma dell’Acqua a cui mi riferivo sono condotti prevalentemente in quei paesi che hanno sufficente stabilità politica ma che mancano della capacità istituzionale per ovviare alle probletiche in questione.
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