Anche i parlamentari più sensibili al tema del precariato non regolarizzano i propri assistenti. Così stanno partendo le prime cause di lavoro
I precari sono ovunque, anche in Parlamento. Sì, proprio nel luogo dove si fanno tanti bei propositi per combattere il precariato, giovani e meno giovani, sottopagati, spesso in nero e per poche centinaia di euro al mese, stazionano alla corte del politico di turno.
Il parlamentare anti-precariato che usa lavoratori precari. Giuseppe Lumia del Partito Democratico e membro della commissione Antimafia è stato recentemente convocato dai giudici della sezione “lavoro” del Tribunale di Palermo. Non per questioni inerenti la mafia, ma perché è stato citato in giudizio da Davide Romano, giornalista addetto-stampa precario dello stesso senatore. Si tratta di una causa da quasi 368mila euro, pari ai contributi, le tredicesime e ferie non godute negli 8 anni che Romano ha lavorato per conto di Lumia. Eppure il 24 gennaio 2011, il parlamentare del Pd tuonava sull'Ansa: “Il lavoro nero è una metastasi per l'economia italiana e calpesta la dignità dei lavoratori”. E poi invitava il governo a “investire risorse per garantire più opportunità ai giovani e assicurare loro prospettive di lavoro e di vita più stabili”. Insomma, contro il precariato, sì, ma quello degli altri.
Gli altri casi. Ma quello di Lumia non è il primo caso. Nell'ottobre 2009 per la prima volta un parlamentare veniva costretto a risarcire un suo portaborse. Si trattava di Gabriella Carlucci, oggi deputato del Pdl, condannata a pagare la sua ex assistente per tre anni di lavoro non in regola. A seguire Francesco Barbato dell'Idv, il quale, secondo il settimanale Panorama, avrebbe chiuso il contenzioso con una sua ex collaboratrice, grazie ad una transazione di cui non si conosce il valore.
Luca Barbareschi e la onlus. E poiché il fenomeno dei precari “parlamentari” è realmente bipartisan, al di là delle dichiarazioni d'intenti, ora tocca anche a Luca Barbareschi, prima del Pdl, poi di Fli e ora del Gruppo misto. L'attore-politico ha creato una fondazione anti-pedofilia dove lavorano alcuni collaboratori. Spesso, però, alcuni di loro venivano portati a Palazzo Marini, sede degli uffici dei deputati. Qui possono entrare teoricamente solo assistenti che abbiano contratto di lavoro regolare. Invece, a quanto pare, la giornalista che gli ha fatto causa, impiegata presso la onlus, sarebbe andata spesso a Palazzo Marini.
Lo scandalo del 2007. Il primo scandalo scoppiò nel 2007 con un servizio della trasmissione di Italia 1, Le Iene. Lucci e co. scoprirono che in Parlamento, su 683 portaborse accreditati, solo 54 avevano regolare contratto. Tutti gli altri entravano a Montecitorio o a Palazzo Madama come ospiti o, udite udite, volontari “a titolo non oneroso”. Oggi la situazione è migliorata, ma il lavoro nero e il precariato ancora non sono stati estirpati. Su 630 deputati solo 269 hanno depositato copia del regolare contratto di lavoro, per accreditare assistenti, portaborse o addetti-stampa. Al Senato, invece, su 321 (senatori a vita inclusi) 192 hanno provveduto alla regolarizzazione. Per carità, pochissime assunzioni e molto precariato: solo 36 sono assunti, 101 hanno un contratto a progetto, 51 sono pagati come collaboratori occasionali e 4 fanno “apprendistato”.
I rimborsi intascati. Intanto i parlamentari, senza dover fornire alcuna ricevuta, si intascano 3.690 euro al mese come rimborso per spese inerenti al rapporto tra eletti ed elettori. In queste spese dovrebbero rientrare anche quelle per i portaborse, ma alla fine finiscono in gran parte nelle tasche del parlamentare di turno.
Una soluzione per superare il problema c'è. Basterebbe rinunciare o ridurre in maniera consistente questo rimborso e fare come si fa al Parlamento europeo: l'europarlamentare designa un assistente che viene pagato direttamente dal Parlamento, secondo un tariffario chiaro e puntuale. Ma poi come farebbero a lucrare?
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