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Movimento "LA NUOVA RESISTENZA 25 MARZO 2011". Partigiani sempre.

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Partigiani sempre

martedì 7 giugno 2011

I giovani precari diventeranno anziani bisognosi

Il sistema pensionistico introdotto nel 1995 penalizza le discontinuità di carriera e la limitata dinamica salariale

di Vincenzo Galasso, direttore del Centro Dondena Bocconi di ricerca sulle dinamiche sociali
Il precariato che colpisce le giovani generazioni è sotto gli occhi di tutti. Su dieci persone che si affacciano al mercato del lavoro in Italia prima dei 30 anni, solo tre ottengono un lavoro a tempo indeterminato, le altre entrano con una delle oltre quaranta tipologie di contratto a tempo determinato esistenti.
E passare da un contratto a tempo determinato a uno a tempo indeterminato non è semplice: ogni anno riesce solo a poco più del 10% di giovani. Si rimane dunque a lungo in questo limbo, con un salario in media inferiore del 25% a quello dei più fortunati, senza sussidi di disoccupazione e con un percorso lavorativo accidentato, fatto anche di disoccupazione, magari accompagnata dal ritorno a casa dei genitori.
Ma forse non tutti sanno che il precariato lascia un’eredità pesante anche sul futuro delle giovani generazioni, un sigillo che li segue fino alla pensione. Anzi, proprio al termine della loro vita lavorativa, i giovani di oggi scopriranno di dover pagare ancora una volta il conto lasciato loro dai genitori. Le loro pensioni saranno molto meno generose di quelle dei loro padri, e dunque i giovani di oggi saranno verosimilmente forzati, non dalle leggi del parlamento ma da quelle dell’economia, ad andare in pensione più tardi, per potersi garantire un reddito previdenziale adeguato.
Per avere un’idea dell’impatto del precariato di oggi sulle pensioni di domani, consideriamo le carriere lavorative di due ipotetici giovani: Lorenzo e Pierpaolo.
Per le donne, il calcolo sarebbe ancora più impietoso, poiché, almeno in Italia, esse hanno carriere lavorative più discontinue e dunque pensioni tipicamente più basse degli uomini.
Lorenzo è un ragazzo fortunato: inizia a lavorare a 25 anni con un contratto a tempo indeterminato e uno salario mensile di 1.000 euro. Alla fine della sua carriera lavorativa, il suo salario reale supera i 2.000 euro. Se decidesse di andare in pensione a 60 anni, otterrebbe un beneficio previdenziale mensile reale compreso tra i 1.023 e 1.112 euro, con un tasso di sostituzione (il rapporto tra pensione e salario pre-pensionamento) attorno al 55%. Ma, ritardando a 67 anni l’uscita dal mercato del lavoro, la sua pensione reale mensile oscillerebbe attorno ai 1.600 euro, con un tasso di sostituzione dell’80%. Con 42 anni di contributi, Lorenzo otterrebbe dunque lo stesso trattamento previdenziale del padre (ovvero un tasso di sostituzione dell’80%), che di anni ne aveva lavorati 40.
A Pierpaolo le cose vanno meno bene: entra nel mercato del lavoro a 25 anni con un contratto temporaneo, che riesce a mantenere fino ai 28 anni. Per un anno è disoccupato, poi ottiene un lavoro a tempo determinato che tiene fino ai 32, quando si ritrova nuovamente disoccupato. A 33 anni l’ultimo contratto temporaneo che dopo due anni si trasforma in tempo indeterminato. Inoltre Pierpaolo ha un salario mensile di soli 800 euro, che rimane quasi costante, in termini reali, fino a quando ai 33 anni approda al contratto a tempo indeterminato. Alla fine della sua carriera lavorativa, il suo salario reale mensile supera di poco i 1.300 euro. Le difficoltà di inserimento di Pierpaolo hanno dunque segnato la sua carriera lavorativa. Il suo salario reale finale è solo del 62,5% più alto di quello iniziale. Il salario di Lorenzo è invece raddoppiato. Con un sistema previdenziale a contributi definiti, come quello introdotto in Italia dalla riforma Dini del 1995, una carriera lavorativa discontinua e una scarsa crescita salariale si riflettono fortemente sui benefici previdenziali. Se andasse in pensione a 60 anni (come suo padre), Pierpaolo percepirebbe un assegno mensile reale compreso tra i 638 e i 690 euro. È solo lavorando fino a 67 anni che Pierpaolo potrebbe ottenere una pensione mensile reale attorno ai 1.000 euro.
Al momento dunque ai giovani di oggi non rimane che puntare su un forte aumento della longevità che consenta loro di posticipare la pensione e di continuare a lavorare. Tuttavia, una riduzione del dualismo sul mercato del lavoro, ad esempio attraverso l’introduzione di un contratto unico che riduca le differenze tra contratti temporanei e permanenti, consentirebbe ai giovani un migliore inizio della loro vita lavorativa e una vecchiaia più serena.
 

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